Me lo ricordo ancora quel giorno. Avevo il grembiulino rosa a quadretti bianchi e la frangetta. I banchi erano a semi-cerchio e la maestra Rossana aveva deciso di solleticare la nostra fantasia: "Cosa vuoi fare da grande?" La domanda era calzante, innocua, ma al tempo suonava così utopica che ognuno di noi si sentiva in diritto di spararla più grande.
Era legittimo voler fare l'astronauta e magari pure l'avvocato, oppure voler fare la parrucchiera e la cantante, era legittimo anche rispondere "voglio diventare Ronaldo" o "vivere in un castello incantato e fare la cuoca." Sì, era legittimo, perché è giusto ed era tanto giusto avere grandi sogni, era legittimo avere grandi aspettative e soprattutto era legittimo averne tante. Il punto è uno: era legittimo? La maestra Rossana davanti a risposte condite da più opzioni si sganasciava dalle risate. "E' no, o fai questo o fai quello!" Ed ecco che qui casca l'asino. Già in tenera età ci viene dato il benvenuto nella società dell'impossibile, la società dove le possibilità sono quelle già scritte, già percorse, già provate, la società per cui conta solo chi ha un unico obiettivo, un'unica intenzione, un'unica scelta. Passa il tempo e continuano a farti quella maledetta domanda, magari sotto forme ingannevoli, tipo "Cosa pensi di fare dopo?" E se hai raggiunto un minimo di consapevolezza, inizi a tremare davanti a quella domanda, anzi no, tremi più che altro all'idea della risposta che darai. Cosa si aspettano da te?Il cervello della maestra Rossana deve esser stato di sicuro clonato e vi motivo subito la mia idea. Fate un esperimento al "Cosa vuoi fare da grande?" provate a rispondere con tutto quello che avete in mente per il vostro futuro e appuntatevi la reazioni. In quanti riescono davvero a capire che quella lista in work in progress rappresenta effettivamente la vostra volontà? C'è chi apertamente vi dirà di crescere e focalizzarvi su qualcosa di preciso e chi invece vi beffeggerà con un "quante idee, oh mamma" e dentro di sé penserà: "non ha uno straccio di progetto, è un fallito!"
Era legittimo voler fare l'astronauta e magari pure l'avvocato, oppure voler fare la parrucchiera e la cantante, era legittimo anche rispondere "voglio diventare Ronaldo" o "vivere in un castello incantato e fare la cuoca." Sì, era legittimo, perché è giusto ed era tanto giusto avere grandi sogni, era legittimo avere grandi aspettative e soprattutto era legittimo averne tante. Il punto è uno: era legittimo? La maestra Rossana davanti a risposte condite da più opzioni si sganasciava dalle risate. "E' no, o fai questo o fai quello!" Ed ecco che qui casca l'asino. Già in tenera età ci viene dato il benvenuto nella società dell'impossibile, la società dove le possibilità sono quelle già scritte, già percorse, già provate, la società per cui conta solo chi ha un unico obiettivo, un'unica intenzione, un'unica scelta. Passa il tempo e continuano a farti quella maledetta domanda, magari sotto forme ingannevoli, tipo "Cosa pensi di fare dopo?" E se hai raggiunto un minimo di consapevolezza, inizi a tremare davanti a quella domanda, anzi no, tremi più che altro all'idea della risposta che darai. Cosa si aspettano da te?Il cervello della maestra Rossana deve esser stato di sicuro clonato e vi motivo subito la mia idea. Fate un esperimento al "Cosa vuoi fare da grande?" provate a rispondere con tutto quello che avete in mente per il vostro futuro e appuntatevi la reazioni. In quanti riescono davvero a capire che quella lista in work in progress rappresenta effettivamente la vostra volontà? C'è chi apertamente vi dirà di crescere e focalizzarvi su qualcosa di preciso e chi invece vi beffeggerà con un "quante idee, oh mamma" e dentro di sé penserà: "non ha uno straccio di progetto, è un fallito!"
Quando mi chiedono "Cosa vuoi fare grande", premesso che, ahimè, già sono grande, ormai rispondo con un "Troppe cose!". <<Troppe cose>> significa tutto e niente, lascia il dubbio all'interlocutore ma non concede possibilità di scavo. <<Troppe cose>> può esser considerata la risposta più banale del mondo, invece lì dietro c'è un pensiero fin troppo profondo, è un po' come tapparsi le orecchie, un po' come evitare di sentire quel ritornello che ti va stretto, è un po' come tutelare il proprio essere e non permettere alla massa di dettare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Stimo chi ha le idee chiare, stimo chi risponde in maniera secca con un "Voglio fare l'insegnante" e ovviamente accompagna la sua volontà ad un percorso di studi ed esperienze mirate. Stimo chi sa quella che è la sua vocazione e ci mette tutta l'anima per arrivare all'obiettivo. Io stimo queste persone ma dato che siamo "come natura crea" devo adattarmi alla mia indole. L'ho capito sin da piccola, non avrei mai avuto una direzione univoca, mi sono sempre appassionata a tante cose ed ho voluto sempre raggiungerle, provarci e poi passare ad altro, senza mai abbandonare del tutto quel "battito". Qualcuno ancora giudica incongruenti le mie scelte, ma ho imparato a capire che è quella la mia forza e quindi è giusto sfruttarla. Lo spunto di riflessione per questo post è arrivato qualche mese fa, quando mi sono imbattuta in un estratto di conferenza su Ted Talks, dal titolo italianizzato, "Perché alcuni di noi non hanno un'unica vera vocazione". Mi sono ritrovata in tutto- e dico proprio tutto- quello che Emilie Wapnick ha brillantemente raccontato alla platea. Lei per me è diventata un mito, abbiate pazienza ma mi entusiasmo con poco. Lei è una scrittrice, anzi no, è un'artista a tutto tondo, è quello che lei definisce un "multipotenziale", termine che per la società di oggi suona un po' come un insulto, del tipo "Lo vedi quello? E' un multipotenziale!", lo sguardo dell'interlocutore si intristisce ed esce un sentito "Poveraccio!"
Sì, perché il problema non sono le persone che hanno le idee chiare e si specializzano in una cosa, non sono nemmeno le persone che proliferano idee e le coltivano, il problema di fondo è il contenitore che ormai è putrido e quindi cerca di sporcare un po' tutti. La società dovrebbe essere open mind e invece è contagiosamente chiusa, motivo che porta anche molti dei proliferatori di idee a rinchiudersi in quello che dovrebbe essere giusto, ossia, occupare per 8 ore una posizione a caso, portare a casa il proprio stipendio e dedicare il giusto tempo, ossia poco e niente, alle idee più evanescenti. Come sostiene Emilie, la difficoltà di rispondere al "Cosa vuoi fare da grande" non è data dal non sapere cosa voler fare, bensì dall'eventuale moltitudine di interessi. Non è un limite essere curiosi, non è un limite scoprirsi interessati a più settori, non è un limite volersi specializzare in più cose, è semplicemente un modus operandi. Arrivare ad un traguardo e scoprirsi il secondo dopo pieni di interesse verso un altro campo non è troppo negativo, si raggruppano esperienze, si crea il proprio bagaglio e al momento giusto si sfoderano le proprie carte, ripescando dal passato tutti quelli che sono stati gli interessi, perché quelli restano, fanno parte di noi. Avete presente la colonna sonora di profondo rosso? Ecco, da adulti la domanda "Cosa vuoi fare da grande?" si accompagna spesso a quel senso di ansia, incompiutezza e vuoto che quella composizione musicale ti evoca.
Sì, perché il problema non sono le persone che hanno le idee chiare e si specializzano in una cosa, non sono nemmeno le persone che proliferano idee e le coltivano, il problema di fondo è il contenitore che ormai è putrido e quindi cerca di sporcare un po' tutti. La società dovrebbe essere open mind e invece è contagiosamente chiusa, motivo che porta anche molti dei proliferatori di idee a rinchiudersi in quello che dovrebbe essere giusto, ossia, occupare per 8 ore una posizione a caso, portare a casa il proprio stipendio e dedicare il giusto tempo, ossia poco e niente, alle idee più evanescenti. Come sostiene Emilie, la difficoltà di rispondere al "Cosa vuoi fare da grande" non è data dal non sapere cosa voler fare, bensì dall'eventuale moltitudine di interessi. Non è un limite essere curiosi, non è un limite scoprirsi interessati a più settori, non è un limite volersi specializzare in più cose, è semplicemente un modus operandi. Arrivare ad un traguardo e scoprirsi il secondo dopo pieni di interesse verso un altro campo non è troppo negativo, si raggruppano esperienze, si crea il proprio bagaglio e al momento giusto si sfoderano le proprie carte, ripescando dal passato tutti quelli che sono stati gli interessi, perché quelli restano, fanno parte di noi. Avete presente la colonna sonora di profondo rosso? Ecco, da adulti la domanda "Cosa vuoi fare da grande?" si accompagna spesso a quel senso di ansia, incompiutezza e vuoto che quella composizione musicale ti evoca.
La nostra cultura è la cultura dell' AUT...AUT kierkegaardiano, l'uomo deve scegliere una e solo una possibilità per vivere e se non ci riesce, beh, per la cultura sei OUT, sei un perdente. Ma chi diamine l'ha definito questo iter? Continuo a dire che stimo con tutta me stessa chi ha una vocazione, se non fosse per loro non ci sarebbero certezze in medicina, nelle scienze e in ogni settore, ma chi è nato con un'indole-altra è giusto che ne prenda atto e la sfrutti. Vi ritrovate in questo pensiero? Come dice Emilie: Siete un "multipotenziale" che a parole sue equivale a dire <<(...)una persona con molti interessi e occupazioni creative È uno scoglilingua. Può essere d'aiuto dividerlo in più parti: multi, potenziale. Si possono usare altri termini per esprimere lo stesso concetto, come "eclettico", "uomo rinascimentale". In realtà, durante il Rinascimento, era ritenuto ideale il fatto di essere portato per molte discipline.>>
Lontano da essere un ideale da raggiungere, il multipotenziale è semplicemente un dato di fatto, non bisogna né lodarlo né sopprimerlo. Sintesi di idee, rapido apprendimento e adattabilità, sono queste le tre caratteristiche proprie dei multipontenziali. Solitamente queste persone si collocano in campi multidisciplinari, non hanno paura di lanciarsi in nuove sfide perché sono stati principianti 1,10, 100 volte e non ne subiscono lo stress, semmai il fascino; grazie all'adattabilità riescono a plasmare le loro conoscenze e ad applicarle nell'ambito di interesse, non si precludono nulla ma sanno sempre quando arriva il momento di indirizzarsi altrove. Ti senti più uno specialista o un multipotenziale? Una cosa è certa ed è matematica: siamo tutti registi e in quanto tali abbiamo una mission: fare in modo che il nostro film sia da Oscar e saremo solo noi a deciderlo, nessun spettatore, nessun giudice, noi e i protagonisti che condivideranno con noi il lungo percorso della vita.Credit Photo: Ph Bj Formento- Art Direct Formento & Formento- Make up Grazia Carbone- Hairstyle Barbara Fiorenza